Politicando
IL LAVORO INDECENTE
Oggi si piange Mariarca, la morte bianca ha preso anche lei, di questi tempi non si ferma mai. Ora spinge un lavoratore da un pontile, poi passa ad avvelenarne un altro con le esalazioni, quell’altro lo avvolge con le fiamme, a qualcuno toglie il senno e lo istiga al suicidio.
A Mariarca ha succhiato il sangue, come un vampiro. Oggi ci viene il voltastomaco perché in un call center di Incisa Valdarno (fonte Repubblica) insultavano e frustavano le donne, quelle che non facevano abbastanza telefonate. E umiliavano i lavoratori che non avevano abbastanza faccia tosta per rifilare quelle sòle di aspirapolveri. Oggi ci incazziamo perché nella civile Italia 450.000 bambini tra i 9 e i 13 anni sono costretti a lavorare invece di andare a scuola. Non giocano nei giardini improbabili del Mulino Bianco, dove arriva la mamma strafiga e gli porta le merendine, vanno a fare i mestieri dei grandi, spesso quelli usuranti. Ma sarebbe ora, dopo avere dato sfogo a quello che abbiamo in corpo, di incominciare a convogliare rabbia e passione verso un pensiero dotato di progettualità. E forse anche di utopia. La progettualità traccia le strade, ma l’utopia sfonda gli orizzonti. Era utopia quella dei Padri costituenti quando fissarono nell’art. 36 il diritto ad una retribuzione che assicurasse un’esistenza dignitosa: l’Italia era un cumulo di macerie, i latifondisti del mezzogiorno non retribuivano lavoratori ma reclutavano servi della gleba, nelle città la carne era un miraggio e spesso prima di essere macellata miagolava.
Eppure quel sogno frammento dopo frammento segnò le tappe della storia del movimento operaio italiano. E spostò sempre avanti i traguardi fino ad ottenere un’avanzatissima legislazione del lavoro. Ora quel sogno è svaporato. Si estendono sempre di più le aree del mercato del lavoro marginali, dove per marginale si intende non aderente all’idea di “lavoro decente” condivisa dalla nostra cultura. Ovvero: essere ragionevolmente stabile; essere dignitosamente retribuito; essere orientato alla esplicitazione delle capacità di una persona e non della loro mortificazione, essere svolto in condizioni di ambiente accettabili; consentire tempi congrui di non lavoro da dedicare al riposo, agli affetti, agli interessi extralavorativi. La definizione di “lavoro decente” comparve per la prima volta nel Rapporto del direttore generale con cui si è aperta nel giugno del 1999 la Conferenza mondiale del Bureau International du Travail: “Al presente, lo scopo fondamentale del BIT è che ogni donna e ogni uomo possano accedere ad un lavoro decente e produttivo in condizioni di libertà, di equità, di sicurezza e di dignità”. Più in là si legge: “Ciò che occorre oggi è concepire sistemi sociali ed economici che garantiscano il minimo indispensabile in materia di sicurezza ed occupazione, senza che ciò impedisca di adattarsi alla rapida evoluzione di un mercato mondiale fortemente concorrenziale”.
Lì è avvenuto il corto circuito: nella ricerca di una compatibilità tra la garanzia di un lavoro decente per tutti e i bisogni dell’economia. La sintesi tra questi due momenti è stata devastante per il lavoro, ha vinto l’economia. Anzi, non può non vincere l’economia se la questione è posta intermini di adattamento tra il lavoro e l’economia, resa dai processi di finanziarizzazione globale ingovernabile e quindi insuscettibile di regole per coordinare le sue ragioni con quelle del lavoro. Cervelli e muscoli che si scontrano con enormi quantità di capitali vaganti che fanno nascere e morire, smembrano e delocalizzano imprese senza avere né direzione, né controllo, ma il solo obiettivo di investire dove i capitali sono remunerati di più. E questo turbine di denaro in cerca della sua valorizzazione esige lavoro che si spoglia di ogni tutela, che abbassa continuamente l’asticella dei diritti, che spezza vite. Il sogno dei nostri Padri costituenti infranto contro il muro invisibile della finanza internazionale. L’idea di lavoro decente a rimorchio dei tassi di interesse. Fino a quando non ricominceremo il sogno della dignità del lavoro come principio assoluto e non variabile dipendente di altre ragioni. Fino a quando il pensiero non torna ad essere utopia. Le utopie non vanno mai a rimorchio, né seguono piste battute da altri. Inventano nuovi mondi.