Politicando
Qualcosa non torna al filosofo per caso
C’è un articolo bellissimo di Daniel Innerarity su Tamtàm Democratico. Invito a leggerlo, si intitola “La pretesa autosufficienza della scienza economica”. Contiene un’analisi robusta sul sentiero senza uscite intrapreso dal pensiero economico. E’ pienamente condivisibile.
Vi si sostiene in sintesi che l’economia ha un’enorme falla: pretende di avere il rigore della “scienza”, ovvero l’esattezza, e invece perviene a risultati inverosimili, tanto è vero che le teorie economiche dominanti (e purtroppo applicate) si sono rivelate un disastro. Ma lascia esterrefatti. Non spiega (non per limiti di analisi, ma perché è proprio inspiegabile) come mai una “scienza” abbia potuto affermarsi bypassando il principio cardine del pensiero scientifico da Bacone, Galilei, Newton, ecc. ecc.: affinché un’ipotesi risulti vera e assurga a teoria, deve superare l’analisi sperimentale. Cioè non deve essere sconfessata dalla realtà. E allora al “filosofo per caso” non torna come possa essere considerata “data” la condizione che l’individuo sia perfettamente razionale e che sia in possesso di tutte le informazioni per massimizzare il suo utile: la cosiddetta “trasparenza del mercato”. La filosofia sa dai suoi albori che l’individuo è razionale sì e no per un 10%, non di più, e si deve pure sforzare. “Tu non conoscerai i confini della tua anima ……” avvertiva Eraclito e nessuno l’ha mai sconfessato: l’uomo è mosso da passioni, sentimenti, speranze e lo è pure quando compra e vende. Perciò se le curve della domanda e dell’offerta si incontrano in quel punto, e proprio quello lì, quello che chiamano di “equilibrio” è perché ce le ha spinte il ponderabile e l’imponderabile, il conoscibile e l’inconoscibile, il sensato e l’insensato e tutte le cose che ci sono tra cielo e terra (“che sono più, Orazio, di quante non ne contenga la tua filosofia”). E pare impossibile, al “filosofo per caso”, che una scienza “non scienza”, che postula bizzarramente, che inanella un errore di previsione dopo l’altro, che si arrocca sulle sue teorie a dispetto di ogni evidenza, abbia potuto soppiantare la politica nel governo del mondo. Ma poi forse una ragione c’è: una scienza che rifiuta la prova sperimentale non è scienza, ma è ideologia. E allora vorrà dire che la politica cacciata dalla porta rientra dalla finestra, ma dopo aver subito una mutazione genetica: da arte del buon senso ad imposizione di una visione del mondo unica, quella del 10% della popolazione più ricca del mondo. Anche se falsa, anche se scollegata dalla realtà, come tutte le più brutte ideologie. C’è un rimedio, si sostiene nell’articolo: scongelare l’economia, aprirla alle scienze sociali, farle parlare un linguaggio più umano e meno matematico, contaminarla con le emozioni umane. Saggia proposta: almeno non ci verranno a dire che è “razionale” che la Germania abbia trascinato la Grecia in quel disastro mettendo a rischio le “sue” banche perché la Merkel si illudeva di vincere le elezioni in Westfalia (il che è una riprova che il mondo non è razionale e che quindi i modelli economici sono pura astrattezza). Ma è poco, c’è qualcosa di più da fare: una disciplina, anche rifondata su principi più sensati, sempre disciplina rimane. Cioè tecnica. E la tecnica non ha “visione del mondo”. L’economia magari diventerà una tecnica che saprà fare meglio di quanto non stia facendo (e cioè un disastro), ma continuerà a non sapere cosa fare. La tecnica, anche la più affinata, è monotona, si immette su un binario e prosegue fino in fondo, se non c’è un pensiero alternativo che le dica di cambiare rotta prima di schiantarsi. E c’è solo la democrazia, la voce collettiva di tutti quegli uomini e donne più irrazionali che razionali ma dotati di molto più buon senso rispetto ad una curva matematica, che può invertire una rotta catastrofica. E la democrazia attiene alla politica, non alla tecnica. Diteglielo a quelli dell’antipolitica: se preferiscono le imperfezioni della politica o la perfezione di un modello econometrico.
- VIA
- Lucia Del Grosso