Il Lettorante
La frivolezza
Per i latini la frivolezza rimandava alle cose “rotte”, e dunque senza più valore. E in effetti l’assenza di valore, o minimo, è rimasta fino ad oggi o quasi. Ma è proprio così? L’etimologia rimanda alla friabilità, la frammentarietà. In effetti, un discorso frivolo non è mai un discorso “accademico”, tutto di un blocco. Il discorso frivolo cerca piuttosto il scintillio delle belle parole e il volteggiare della bella frase. Dunque la frivolezza delle parole ricerca sempre il “milieu” del salotto, della convivialità e del divertimento. La frivolezza, tuttavia, rimanda alla eleganza leggera e insieme provocante delle ballerine del Moulin Rouge, alle figure femminili di Jane Austin, insomma la frivolezza appare essere proprio delle donne. Alda Merlini ha scritto.” Se le donne sono frivole è perché sono intelligenti ad oltranza”. Dunque la frivolezza è una manifestazione della intelligenza femminile, ma non casuale o temporanea, bensì continuata, coltivata, posseduta. Certo ci vuole davvero una forte intelligenza, un “talento” per apparire frivola, soprattutto per rassicurare un uomo che ha a che fare con una donna “leggera” e dunque non pericolosa e in grado di superare il suo primato intellettuale. Allora bisogna che il filosofo, per stare all’altezza della sfida intelligente nella donna “frivola”, si azzardi in una scrittura “frivola”, come scrive Jacques Derrida nel suo poco noto libro “L’archeologia del frivolo”.
La frivolezza della scrittura filosofica sta nel sapere complicare, fare sottigliezze su “punti” da nulla. Occorrerà certamente che il filosofo, se con la sua frivolezza voglia salvarsi dalla goffaggine della postura metafisica, sappia allora danzare con la leggerezza delle ballerine del Moulin Rouge? E’ stata coniata l’espressione “frivolezza tattica” per definire una strategia di comportamento non violento e fantasioso da parte dei partecipanti alle manifestazioni in piazza. E a proposito di “manifestazione” ricorderemo che 68 è stato definito una “rivoluzione frivola”. E allora, riprendiamo, il filosofo si impegna, se vuole essere un “rivoluzionario” ad essere frivolo. Ma prima di tutto, per essere tale, egli deve abbracciare la vita in una danza vorticosa e virtuale, sollevarla sopra la sua testa in direzione dell’infinito e ridere, ridere e ridere ancora, leggero e quasi stupito dal roteare dei pensieri.
Un filosofo estremamente serio che avrà molto amato proprio la frivolezza (della vita, che è femmina) è proprio quel Nietzsche troppo spesso relegato tra i marmi dei musei del pensiero. Amare la frivolezza significa amare la “superficie”, le pieghe del pensiero come le pieghe di una gonna, il saltellare delle intuizioni come il camminare sulle punte di una ballerina classica e il roteare degli aforismi come il vorticare della coppia in un tango. Il ballo è “frivolo”, certamente, eppure Dioniso, dio potentissimo e “genio del cuore” è un dio che danza sul mezzogiorno. E certamente la moda, la cura del vestiario, dell’indumento, dell’indossare, è nel regno della frivolezza. Un autore come Roland Barthes si è occupato a lungo del frivolo riuscendo a districare in esso la matassa che fa oscillare l’uso e il senso di questo termine ora in direzione positiva ora invece negativa se non di condanna radicalmente moralistica. La frivolezza, allora, appare essere un “fenomeno” complesso in cui convogliano le contraddizioni proprie che si toccano sulla linea della superficialità e della profondità insieme. Ma torniamo alla parola; “fri-vola” contiene la parola “vola”, che rimanda al volo, alla leggerezza dunque e la radice “fri” se si vuole al “fru-fru”, in cui la coppia consonante “fr” rimanda ad un suono di soffio con la “erre” che sincopa, come un tamburo, prima che il soffio esca. “Frou frou” è un francesismo che rimanderebbe al fruscio dei vestiti (con tanti pizzi?) delle donne e conferma come storicamente la frivolezza appartenga certamente ad un contesto francese. Già Voltaire scriveva: “L’uomo dovrebbe rallegrasi di essere frivolo perché, se non lo fosse, morirebbe di dolore pensando di essere nato per un solo giorno fra due eternità, e per soffrire almeno undici ore su dodici”. Ecco che allora, più nessuno dovrà scandalizzarsi se incontra un filosofo con sotto braccio un paio di libri detti “mattone” che ammira ad una vetrina gli indumenti indossati con estrema indifferenza da un manichino di cui egli ammira l’eleganza e la posa vuota. Frivolo fruscio dei pensieri, ecco forse una nuova opportunità per la filosofia di non morire. “Il faut etre frivole et que la main vole à la vie gamine son sourire sur le bout des lèvres” (“bisogna essere frivoli e che la mano rubi alla vita sbarazzina il suo sorriso sulla punta delle labbra”).
- VIA
- Roberto Borghesi