Il Lettorante
L’Enigma della donna
Che cosa accadrebbe se si dovesse rispondere alla domanda: che “cosa” è una donna? E’, posta così bruscamente, al giorno di questo oggi di apparente parità dei sessi, certamente un’interrogazione che suonerebbe offensiva, giacché, ormai, illuministicamente, si da per scontato che una donna non è una cosa…
Una filosofa, di cui proprio quest’anno ricorre il decennale della morte; era nata nel 1934.. Infatti, un suo libro porta proprio questo titolo:”L’enigme de la femme”– “l’enigma della donna”, tradotto dal francese per l’editore Bompiani, Milano nel 1982,(sarebbe meritoria una ristampa, il libro è introvabile) con “L’enigma donna”. Tuttavia in questa traduzione del titolo va perso il doppio valore del genitivo; l’enigma che è la donna per- e l’enigma che la donna è a se stessa. Infatti è proprio questa duplice condizione enigmatica, che fa della donna un problema: un problema in quanto donna per l’uomo e per l’altro, un problema per se stessa. Forse, il carattere fondamentale della donna sta nella sua capacità di portare in sé il mistero. Non a caso, l’uomo cerca , all’interno di una cultura che si definisce scientifica, di toccare il fondo della verità, angosciandosi per ogni oscurità che ostacola questa luminosità. La donna invece sta nel mistero, l’ambiguità, il fascino. Il mistero nella donna, per lei non equivale sempre a profondità. Ha ben scritto un filosofo “femminista” che la donna ha nella sua superficialità il suo abisso. Non a caso la moda è un fenomeno fondamentalmente femminile. Sarah Kofman, piccola e fragile donna di origine ebraica, francese, docente, editrice, grande autrice di molteplici testi su F Nietzsche, scrive un libro che ha per sottotitolo:”La donna nei testi di Freud.” In esso ella incalza le tesi del fondatore della psicoanalisi sulla sessualità e sullo statuto della sessualità femminile in questa “nuova scienza”, affrontando e criticando(decostruendo, come si dice)con competenza le varie teorie espresse sulla sessualità del fanciullo e della fanciulla, sul complesso di Edipo, l’invidia del pene e il complesso di castrazione, eccetera.
Se è vero, da una parte, che la psicoanalisi ha dato la parola alla donna, alle sue sofferenza, al suo mistero; dall’altra, essa, quasi timorosa di avere come aperto un vaso di Pandora, cerca di “padroneggiare” la ricchezza di sessualità che con questa pratica è emersa, con una concettualità “maschile” . Certamente, in questa lettura, viene indicato come, dopo Freud, la certezza circa il concetto di normalità, specie di normalità secondo canoni maschili, si sia fatta traballante. Tuttavia, se si concede alla donna una certa emancipazione di costumi, d’altra parte, si cerca di seppellire la genuina condizione di enigmaticità di essa sotto una costruzione radicalmente maschile del suo enigma. Si preferisce cercare di fare indossare alla donna un nostro abito misterioso, piuttosto che riconoscere a lei una veste enigmatica propria.. Si concede alla donna di indossare pacificamente i pantaloni, negandole tuttavia la facilità di coincidenza fra la maternità e il lavoro, per esempio. Nell’immaginario comune, la donna è colei che sacrifica il suo narcisismo per la realizzazione del piacere maschile. Non si guarda di buon occhio una donna che “pensa a sé”; si è assai più compiacente verso colei che si realizza nei suoi figli o nel marito.. Sarah Kofman, in questo libro che costringe i testi di Freud a rivelare le contraddizioni di questa scienza ambivalente che è la psicoanalisi, scava fino in fondo il terreno della sessualità toccando financo il tema, tabù, dell’autoerotismo femminile. Essa, tuttavia, non si schiera con il gruppo di femministe, che in nome di una parità dei sessi che nasconde in effetti un senso di inferiorità verso il “padre” della psicoanalisi, trattano da maschilista proprio colui che con grande fatica, muovendosi in un linguaggio che era, allora, assai impregnato di simboli e di immagini maschili, appunto, introduceva tuttavia la donna in quel mondo misterioso della psiche fatto di sesso e di sentimenti. Grazie anche a Freud, la donna ha intrapreso il periglioso viaggio nella propria sessualità, intrecciata di sfumature talvolta maschili, talvolta narcisistiche, talvolta altruistiche. Freud ha contribuito a rendere la donna consapevole del suo enigma, del suo diritto all’enigma. Essere accanto a una donna che sa stare nel suo enigma, è, per un uomo, una benedizione per la sua intelligenza. Già un sapiente greco come Eraclito sapeva bene come il mistero avesse a che fare con il fango. E non si può negare alla donna il primato di colei che nella vita quotidiana si “sporca le mani”( non è forse, nonostante la presenza moderna delle lavatrici, la donna colei che lava i panni di casa?), con i figli e con il marito? Io immagino Sarah Kofman che da una pagina di Freud o di Nietzsche, sarà passata alle stoviglie, e non già un qualsiasi filosofo che si sciacqua le mani dopo un bucato.
L’onestà intellettuale di questa grande donna, la porta a sottilizzare con le contraddizioni della nascente “scienza” freudiana, ma non la fa buttare con l’acqua sporca il bambino. La psicoanalisi è stata fondata da un uomo; questo fatto non è una colpa originaria di questa scienza. Sarah Kofman rileva come Freud si sia ridotto assai tardi all’impresa di scrivere a proposito delle donne; forse quando già sentiva abbastanza forte la sua creatura da potere misurarsi con la minacciosa forza misterica della donna e del suo sesso. Ciò non significa che egli non avesse percepito per tempo l’importanza per la psicoanalisi della analisi della donna. Fin dall’inizio, mi pare, Freud ebbe le donne come sue pazienti. Ma, segnala S Kofman, Freud differiva sempre la realizzazione dei suoi desideri o delle sue ambizioni. E poi, con l’analisi delle donne e la scoperta in loro di una condizione pre- edipica Freud si imbatte nella “alterità radicale della donna che rischia di trascinare un rovesciamento totale nella psicoanalisi”. E’ contro questo rischio che Freud cercherà di mantenere entro certi limiti la forza “emancipatrice” della sua scienza., giocherà la sua scommessa… Concludo questo scritto segnalando un altro piccolo libro(questo reperibile, facilmente) di S Kofman: Rue Ordener rue Labat. Sellerio. Palermo. 2000, pg e7; l’ultimo libro della scrittrice. Si tratta di un testo autobiografico, in cui la filosofa narra la sua infanzia a Parigi durante la seconda guerra mondiale, figlia di ebrei.. Ella si descrive come una ragazzina testarda, talvolta ribelle, in cui si manifesta la sua scelta psicologica di una seconda madre, la sua esperienza mentale di indipendenza affettiva. Sullo sfondo sta la immane tragedia della guerra; lei è sì, una bambina ebrea, ma ciò che si da in primo piano sono i suoi sentimenti di ragazzina che cresce e si fa donna, il rifiuto di rinunciare alla propria emancipazione, alla propria maturazione, alla propria vita. “Io non ero troppo infelice” dice ad un certo punto. La guerra era terminata da poco, certo, ma il dopo-guerra non era facile; dopo tutto aveva perduto un padre ad Auschwitz. E una frase così banale non era del tutto scontata, in quel contesto.. Così scriveva di sé questa donna poco tempo prima di abbandonare la vita. Del padre ricordava: ” Era un Shabbat; egli non faceva alcun male, avrebbe sostenuto, pregava soltanto Dio per tutti loro, vittime e aguzzini. Per questo, come tanti altri, mio padre subì questa violenza infinita: morire ad Auschwitz, questo luogo ove non si poteva, ove non si doveva rispettare alcun Riposo”.
Ma, ripetiamo, se dovessimo definire “oggettivamente” una donna risponderemmo, noi uomini (io sono un uomo), e, forse, non solo; essa è un enigma. Una persona che si è data ad accostare i due termini, in maniera perentoria, tuttavia, è proprio una donna: S. Kofman.
- VIA
- Roberto Borghesi
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