Vignettopoli
La Grandezza della DEMOCRAZIA
Il primo rilievo da fare è quello secondo il quale la parola “verità” è priva di articolo che la accompagni. Pertanto, qui, non si tratta de “la” verità della democrazia, non è un testo che intenda dire la verità della democrazia. Allora, intende fare altro? Indicare innanzi tutto che nella democrazia c’è della verità? Che c’è una certa verità della democrazia? Che nella democrazia c’è una certa verità , che si da secondo certe modalità; democratiche? Insomma che la verità e democratica?
Apriamo il libro. Si tratta di un testo corto, breve. Ha in esergo, una citazione. E’ tratta dal Contratto sociale di J J Rousseau III, iv e dice: “Se ci fosse un popolo di Dei, esso si governerebbe Democraticamente” Leggiamo e interpretiamo: se gli dei fossero un popolo; evidentemente gli dei non sussistono, non si danno come popolo. Si danno come una pluralità, ma non come un popolo, nel senso che Rousseau attribuisce a questa parola. Organismo dal legame profondo, il corpo è un “corpo”, una unità i cui membri sono tutti uguali, il popolo appunto, “sovrano”, Dunque gli dei non sono un “popolo”, sono una comunità non organizzata, una specie di Olimpo in cui al di là dell’ apparente dominio di Zeus, ogni dio fa ciò che più gli aggrada. Allora gli dei non essendo un popolo, non sono democratici. E questo secondo Rousseau, è un male. Gli dei non si governano democraticamente; hanno un sovrano, ma di fatto domina l’anarchia.
J L Nancy cita, dunque, questo passo più come una sfida alla riflessione, un incitamento alla considerazione non semplicistica del suo testo piuttosto che come un sunto di esso, una marca, una guida. Il libro si apre con una riflessione sul ’68-sono passati quarant’anni- Una riflessione sul fatto che ’68 sia stato oggetto di un attacco violento sia da parte di certi intellettuali, sia da parte di autorità politiche. Assai significativo è stato che ’68 sia stato accusato di immoralità. Lo è stato per tenere in pace la buona coscienza di tutto ciò che raduneremo sotto il nome di “capitalismo” e di politica al suo servizio. Mentre in realtà, allora, si andava “delineando” un abbozzo sulla verità della democrazia di cui questo libro, scrive J L Nancy è un prolungamento. Leggeremo, allora questo testo scegliendone alcuni temi e sviluppandoli, piuttosto che riassumendolo pedissequamente. Primo tema forte; ’68 ha innanzi tutto intrapreso la messa in discussione della certezza, delle certezze democratiche, proprio in un momento in cui esse apparivano presenti nel modo più confortevole e della nozione di “comunismo” come lo si era giunti ad intendere. . Pertanto , 40 anni dopo non si può che festeggiare , celebrare un processo, un cambiamento, uno slancio che allora non era che al suo inizio e che ancora oggi non ha esaurito la sua forza. Dunque non c’è nessuna eredità da festeggiare, nessuna data, perché “lo spirito non ha cessato di soffiare. Siamo ancora nel vento del ’68. Sessantotto “non” è:stato: una rivoluzione, un movimento di riforme, una contestazione…J L Nancy fa un elenco proprio di tutte quelle forme che sono state attribuite a ’68, per contestarle. 68’, invece, è stato principalmente il frutto di un disinganno poco visibile, ma insistente, il sentimento tenace di una mancanza da ricolmare; appunto, la democrazia. Pertanto ’68 è stato necessario; perché ciò che la seconda guerra mondiale era apparsa solamente interrompere- lo sbocciare di un relativo concertare o di una concertazione, un consenso per un mondo di nazioni democratiche e l’abbozzo di un diritto internazionale.- tutto ciò era ben lungi dal ritrovare il suo percorso la sua crescita. Dunque, già fin da allora, il mondo, potremmo dire, era in ritardo su se stesso. Qualche cosa nella storia stava per superare e disattendere il corso delle attese e delle lotte di cinquanta anni. Era l’Europa che perdeva l’”Europa”, il suo ruolo. Quello che pertanto si ignorava era che si stava uscendo dalle “epoche delle concezioni del mondo” , cosa assai efficacemente annotata da M Heidegger, nel 1938 e ribadita , nel 1946, all’indomani della fine del nazional socialismo. D’altra parte anche ciò che si poteva riassumere sotto il termine di “totalitarismo” si riassumeva ad essere una contrapposizione del “male” opposto alla democrazia, appunto come suo “male”. In realtà si è perso di vista che, piuttosto che “male assoluto” il totalitarismo poneva alla democrazia stessa degli interrogativi sui suoi difetti interni soprattutto in relazione al fatto che essa mancasse costitutivamente appunto di una democrazia che non sapeva, non poteva o non voleva produrre un giorno il “ demos” che doveva esserne il principio. In effetti, J L Nancy lascia intendere che i totalitarismi hanno trovato spazio, più per una insufficienza di auto-analisi delle sue potenzialità da parte della democrazia, che autentica potenza propria. E’in contemporanea con la permanenza soprattutto del totalitarismo di tipo sovietico, che non ci si poteva schierare che o pro o contro il marxismo, in modo più o meno sofisticato. Pertanto era intorno a questo “marxismo” totalitario che ci si riduceva a considerare la democrazia come il minore dei mali. Democrazia come in ombra del “marxismo”, si limitava ad essere inevitabilmente come portatrice di menzogna dello sfruttamento, sia della mediocrità. La politica democratica sprofondava irresistibilmente in una doppia falla; di giustizia e di dignità. I totalitarismi hanno, insomma creato un alibi per la stessa democrazia, per non approfondire la sua stessa essenza, ma per rimanere come il rovescio della sua assenza. Essa è rimasta, senza una necessità di una sua reinvenzione, fino a 68. L’epoca del colonialismo è stata ancora una epoca di una visione fuorviata o insufficiente.
In questo stesso periodo si da la esigenza di una “tra svalutazione di tutti i valori”; questa volta non secondo la maschera istrionica e sinistra del III° Reich. Si tratta di un ritorno di Nietzsche, ancora una volta. Questa volta, però, si tratta di un ritorno “a” Nietzsche come uscita dal nichilismo. Questa uscita passava, allora dall’ abbandono di ogni “visione” o “immagine “ del mondo. Si trattava allora di non indossare più delle “divise”, di portare delle “concezioni”, ma di esporre gli obbiettivi stessi ad un oltrepassamento del principio. Ma non c’è stata mai una autentica messa in crisi del soggetto, ma si è trattato di quello che già Pascal sapeva già; che “l’uomo passa infinitamente l’uomo” 68 ebbe il merito preciso del guardarsi bene dal dettare una visione. Tanto più 68 fu immune da un certo messianismo. La democrazie è un desiderio, un desiderio privo di autorità identificabile a partire da altrove. Si tratta di un desiderio”in cui si esprime e si riconosce una autentica possibilità di essere tutti insieme, tutti e ciascuno di tutti.”. La democrazia è “comunismo”; è questa la grande e provocatoria affermazione di J L Nancy. Comunistica, potremmo dire, nello spirito, perché la democrazia è prima di tutto uno spirito. Per comprendere lo “spirito” della democrazia è il fatto, scrive ancora provocatoriamente J L Nancy, che fino ad oggi ci è mancato Pascal con Rousseau. Mancò poco che Marx li congiungesse. Ciò che ci ha fatto mancare la via della democrazia è di non avere mancato la via del calcolo, che ha nome “capitale” . 68 fu meno un tempo di “chronos”, un tempo del calcolo, che un tempo di “kairos”, il tempo avventuroso e occasionale, senza calcolo, senza cronologia. Sul terreno dell’incalcolabile si da la eccedenza dalla politica. La quale ha l’unico compito di tenere aperte le porte di questa eccedenza, senza assumerne la tenuta.
La politica è rimasta prigioniera del suo presunto compito di distribuzione delle parti. Essa avrebbe,invece dovuto essere come una partizione di senso. 68 ritrovava, in modo inedito il senso di questo senso; a fianco della politica, o magari anche contro o attraverso di essa. J L Nancy riprende il discorso in epigrafe al testo, per dire che se Rousseau si rassegna a dire che la democrazia sarebbe buona solamente per un popolo di dei è perché pensa che questo popolo dovrebbe invincibilmente essere divino, che l’uomo dovrebbe esserlo, ossia che l’infinito dovrebbe essere donato. Ora, l’infinito, per essere tale, deve essere in atto, attuale, effettivo e consistente. Una finalità incalcolabile, presenza dell’infinito nel finito, secondo la formula di Derrida :”La différance infinita è finita “- “différance” non essendo per lui un “ritardo”, al contrario presenza assoluta dell’incommensurabile. Democrazia e infinito; è questo il fulcro della riflessione di J L Nancy. Scrive che Marx, in fondo, non ignorava che l’uomo eccede l’uomo. “Marx sa che l’uomo “totale” è un infinito”. Sa che il “valore” in senso assoluto è un infinito. Sa che l’uscita dall’alienazione è un infinito. Ancora una volta:” Ciò di cui abbiamo bisogno, è allora Pascal e Rousseau con Marx.
Questa formula è una sintesi “scandalosa”, che riassume tutta la forza “provocatoria” di questo piccolo-grande testo di J L Nancy. Esso ha la consistenza di un “manuale” del rivoluzionario, senza rivolta. Questo manuale, propone a colui che lo voglia assumere come una propedeutica per la assunzione di una “posizione” eccentrica, infinitamente finita, dentro a un “demos” inclassificabile. Pertanto la politica, qui, viene “decostruita”, per aprire ad essa un nuovo spazio; spazio “dentro” la Polis, e non spazio privilegiato nella polis. Polis che non significa indistinzione delle posizioni singolari. “Il nichilismo , in effetti, non è altro che l’annullamento delle distinzioni, ossia l’annullamento dei valori e dei significati” Nietzsche fece una critica, non già dei valori e dei sensi, ma del fatto che i filosofi pensassero che i valori fossero dati come dati appunto, ideali e normativi, su di un fondo di equivalenza dei gesti di valutazione stessi. Invece bisogna dire che il valore è , innanzi tutto la distinzione del gesto che lo valuta, che distingue e lo crea. Ecco perché abbiamo bisogno di una democrazia nietzscheana; ossimoro apparente. J L Nancy, si lancia allora in una critica del concetto di equivalenza, che è una critica quanto mai “inattuale” del capitalismo. I
l capitalismo deriva da una decisione di civiltà; il valore sta nell’equivalenza. Così anche la “tecnica” che ad esso si affianca è una tecnica dell’equivalente. Democrazia, all’interno del capitalismo diviene ciò che rapporta tutto a tutto senza che niente posa distinguerlo. “il destino della democrazia è legato alla possibilità di una trasformazione del paradigma della equivalenza. Si tratta di trovare un senso del valore, della valutazione, che dia a ciascun gesto valutativo, la possibilità di non essere a sua volta inscritto in un sistema di valutazioni, ma di essere, ogni volta , la affermazione di un “valore”, unico incomparabile, insostituibile. J L Nancy, pone questo valore unico, come “affermazione di ciascuno che il comune deve rendere possibile. Egli non lo cita, ma qui andrebbe bene il sottotitolo dello Zarathoustra di Nietzsche; “un” libro “per tutti” e “per nessuno”. Dunque, mai “tutto si equivale” bensì “nulla si equivale”. Si tratta di ristabilire allora una comparazione dell’incomparabile. L’affermazione dell’inequivalente; la politica deve preoccuparsi non già di produrlo, ma di creargli lo spazio idoneo. La politica democratica rinuncia a darsi essa stessa una configurazione. E’ questo che J L Nancy chiama “coraggio politico”, che porta al “bene vivere” inclassificabile. Rinunciando a una sua conformazione, la democrazia vede sorgere forme inedite. E l’arte è un segno di questa gestazione di forme inedite dentro alla democrazia. La quale “non è una assunzione della politica in opera”.
E’ la politica che mobilita il capitale che va decostruita, la politica dell’erquivalenza e dell’indifferenza. Eppure, è possibile, che all’opposto di questo grande discorso di “positività”, si dia uno di negatività, del male. Questa negatività, secondo J L Nancy richiama con urgenza alla rivalutazione del “comunismo” in quanto verità della democrazia. “poiché nulla è più comune della nostra comune polvere alla quale siamo promessi”. Comunismo e morte. Comunismo contro la pulsione di morte della nostra civiltà , che è pulsione di “reificazione”, “cosalità” la quale rimanda non già al fatto che “dio è morto”, ma al fatto che la morte diventa il nostro dio. Democrazia allora, rispetto alla “codificazione” significa che vale solamente l’esistenza condivisa in quanto si espone alla sua assenza di senso ultimo come al proprio autentico- e infinito- essere. Democrazia è dunque anarchia, non nel senso che non c’è più potere , ma nel senso che il potere si da nella possibilità di dare scacco al potere. Si tratta allora di una “prassi” Entrare in questo modo di pensare è già un agire. Una prassi in cui si “produce” un soggetto trasformato piuttosto che un prodotto conforme, un soggetto infinito piuttosto che un oggetto finito. J L Nancy conclude il suo “saggio” con queste parole: “la democrazia è……un regime…che impegna interamente l’uomo in quanto rischio e scommessa in se stesso, “danzatore al di sopra dell’abisso” per dirla in termini nietzscheani…..la democrazia è aristocrazia egualitaria….” Ultimo esempio; la salute. Essa è incalcolabile, non è il rovescio di malattia. Né di dominio passivo della medicina. Una politica della salute risponde a dei canoni, a dei calcoli. Una salute è un pensiero, un modo di afferrare la vita, una metafisica, non una politica. Così la democrazia è prima una metafisica eppoi una politica. Infine: il principio della democrazia è che “ritrae dall’ordinamento dello stato- senza pregiudizio delle proprie funzioni l’assunzione degli obbiettivi dell’uomo, della esistenza comune e singolare”.