Vignettopoli
LA FILOSOFIA INQUIETA
Il timore e l’angoscia. Mi manca il respiro. E’ questa la condizione primaria dello stato di angoscia. Essa si manifesta in primo luogo come uno stato in cui il corpo è in tensione, non è in quiete, rilassato. Perché il corpo è in sofferenza? Perché l’angoscia spirituale consiste nell’incertezza, nella sensazione di una carenza di dominio dei propri pensieri e delle proprie sensazioni.
Fondamentalmente, ogni individuo tende a stare in uno stato di certezza, di definizione chiara dei pensieri e delle sensazioni. Quando qualcosa rompe l’equilibrio delle certezze e pone l’individuo davanti alla necessità di compiere delle scelte tanto più non definite, arriva l’angoscia. Essa si accompagna al timore, a quella forma di paura sottile, non forte come lo spavento o il terrore, certo, che è data dall’incertezza davanti al futuro diventato aperto. Certamente, lo stato di incertezza e di instabilità che accompagnano l’angoscia e il timore, potrebbe avere un valore positivo, in quanto aprono l’individuo ad uno stato di “inquietudine”, nel senso di “non-quiete”, che porterebbe un arricchimento di conoscenza e di allargamento dei propri limiti di abitudine e di consuetudine. Ma il fatto che l’angoscia si accompagna con dei segni fisici che procurano uno stato di sofferenza del corpo, tensione muscolare, respirazione affannata, che porta l’individuo a cercare l’allontanamento da questa condizione e una ricerca del ristabilimento della quiete precedente, un ritorno allo status quo anteriore. Contrariamente a quanto si sostiene generalmente, sosteniamo che nello stato di angoscia esiste una certa consapevolezza circa ciò che ci suscita timore, anche se in modo incerto e non definito. Ciò che causa l’angoscia è l’incapacità di valutare il valore di pericolo e di danno che possa avere quanto ci angoscia. In essa, prevale l’idea che ci si potrebbe trovare davanti ad un danno assoluto, catastrofico, non affrontabile o contrastabile solamente con il pensiero. E’ tutto il corpo che è chiamato a reagire, quasi il pericolo potesse essere combattuto con le mani. In effetti, colui che è nell’angoscia si raccoglie su se stesso, i nervi lo fanno ripiegare su di se, il cuore palpita forte e il respiro è in affanno. E’ come se si preparasse a spiccare un “salto”. E’ questa la parola che il filosofo danese S Kierkegaard usa per indicare la soluzione possibile al superamento allo stato di angoscia su cui egli scrive al lungo nella sua opera. E, in effetti, la nostra descrizione dello stato in cui si trova il corpo nella condizione dell’angoscia ci indica come, da uno stato di “raggomitolamento” su se stesso, è il “salto”, lo spiccarlo, seppure simbolicamente e che libera l’individuo dalla pena in cui giace. In termini filosofici, Kierkegaard associa lo stato di angoscia alla condizione di “libertà” in cui il soggetto si viene a trovare e sulla cui base ha la possibilità di scegliere di determinare l’angoscia. L’individuo è libero di scegliere, si trova di fronte al possibile e dunque davanti a un futuro aperto e dunque caratterizzato dall’ignoto; questo lo mette in crisi, come abbiamo scritto, egli preferirebbe le calde pantofole della certezza. Sembrerebbe che l’individuo preferisca la stabilità rispetto al moto. Ma la stabilità rimanda alla fermezza della conoscenza. Quest’ultima invece necessita del movimento per svilupparsi. Se così è. Allora, l’angoscia è una condizione positiva di conoscenza; possiamo dire che non vi è conoscenza senza angoscia e che dunque la sofferenza che essa procura attribuisce al dolore un valore positivo e propulsivo. Si rovescia in qualche modo la valutazione che siamo soliti dare allo stato di quiete e di dolore. Questo d’altra parte, si rivela sempre superabile con quel “salto” cui allude Kierkegaard. Il dolore non è mai definitivo, allora. E’ anche vero che nello stato di angoscia la conoscenza del proprio corpo e di quello che potremmo chiamare lo “spirito” è paradossalmente accresciuta; nel dolore angoscioso il corpo parla attraverso il palpito cardiaco e il respiro affannato e i muscoli tesi. Mentre nella “quiete” il corpo risulta quasi essere “assente”. Positività, paradossale, allora, dell’angoscia e del timore; apertura verso l’ignoto, l’inatteso. Interrogazione. Ripetiamo; il timore è come una piccola paura. Esso non porta l’idea della fuga, dell’evitamento. Anzi; il timoroso è incuriosito, ha il desiderio di conoscere l più presto ciò che lo tiene in tensione. Dentro il timore c’è una certa quantità di coraggio, di curiosità. Il timoroso cerca quasi l’incontro con l’inatteso, con il possibile, con l’ignoto. Tipico è l’esempio nei cartoni animati di personaggi o di animali che si avvicinano circospetti. Non c’è lo spavento; si ha la consapevolezza che ciò cui si va o viene incontro non è una catastrofe o una distruzione. Diremo che mentre l’angoscia tiene bloccato fino al salto il soggetto, il timore lo mette in moto di un movimento circospetto, rallentato, anch’esso proiettato verso una conoscenza, comunque. Insomma, sia l’angoscia e sia il timore, sono per noi due stati dell’animo, due sentimenti almeno non negativi, che si possono risolvere in un rovesciamento del loro valore che relativizza l’idea di assolutezza del sentire che ci caratterizza. Insomma, possiamo concludere dichiarando che l’angoscia e il timore sono due opportunità di “inquietudine” attribuendo a quest’ultimo termine in valore positivo; Jean-Luc Nancy, a proposito della filosofia di Hegel, ha scritto che essa è una “inquietudine del pensiero”, mentre Italo Mancini, sempre a proposito di Hegel parlava di “fatica del concetto”. La filosofia è dunque “inquieta” se vuole essere pensiero; l’angoscia pertanto fa parte della sua natura e il filosofo, parafrasando un celebre titolo di S Kierkegaard, vive nel “timore e tremore”.