Il Lettorante
GESU’, UN TIPO ANTI
Chi è un teologo? Un teologo, oggi? Teologo è, oggi, per lo più, qualcuno che ha un titolo per scrivere e parlare di o su Dio. Un titolo; ovvero un attestato, conferito da un’istituzione di derivazione ecclesiastica, che gli conferisce il diritto e la possibilità di parlare e di scrivere, con autorità, di Dio. Un teologo è responsabile, dunque, del suo operato e della sua parola, ad un’istituzione, ecclesiastica. Questa descrizione vale, certamente, per la chiesa cattolica. Per le altre confessioni, vale la prassi che il teologo risponda del suo operato nei confronti della comunità che “serve”. Ma, prima ancora, ogni teologo, come tale risponde del suo operare davanti a Dio. Comunque, il teologo è una figura religiosa tipica del mondo cristiano. Il teologo cattolico è uno studioso, è un uomo di “scienza”, un uomo della ricerca in una molteplicità di discipline, che tutte, tuttavia, ruotano intorno alla “parola di Dio”. Tuttavia, il teologo, ha, nel suo comportamento di studio, un limite, che non può travalicare e che non può mettere in dubbio; Dio. Dunque, la teologia è una disciplina che non pone in dubbio il suo fondamento, che non lo discute mai. Attraverso i secoli della sua storia, la teologia, cristiana, in quanto tale non ha mai voluto né mai potuto negare il suo fondamento, Dio, pena la sua caduta. Teologia, è un termine tale per cui il “logos” che ragiona del “teo”, non può contestarlo radicalmente, pena la sua condanna al silenzio. Pertanto, il cammino che ha portato la filosofia fino ai suoi limiti estremi, con Nietzsche, per esempio, difficilmente è auspicabile nella teologia. Ed è appunto il teologo il bersaglio principale dell’opuscolo di F Nietzsche, l’Anticristo, meglio, il sacerdote-teologo. Grande parte di questo testo è dedicato ad esso, mentre una parte, circa centrale, è dedicata a Gesù, a porre Gesù come all’antipodo del teologo, del sacerdote-teologo, e la parte finale è dedicata alla lode de codice orientale di Manu. Diciamo subito che a noi pare paradossalmente di poter leggere come un legame sotterraneo tra il Gesù – idiota, e il disegno dei “pochissimi” in questa ultima parte. In mezzo sta l’attacco, forsennato, da parte di Nietzsche “al” cristianesimo, a un certo cristianesimo. Esso è quello che deriva, appunto, da una certa storia, in cui teologia e filosofia si incontrano, fino a Kant e da Kant in poi. E’ il cristianesimo, come costume legato a una concezione dell’uomo come “peccatore”, come sofferente bisognoso di “compassione”, di redenzione. Nietzsche attacca direttamente A Schopenhauer, il vecchio “maestro” e c’è da pensare che indirettamente egli si rivolga a R Wagner e a tutto il rituale cristiano di moda nella sua epoca, e che Nietzsche bolla di décadent. La bestia nera di Nietzsche, qui, è il cristianesimo da grande opera, in cui la sofferenza è una scusa per esibire una compassione che gonfia il petto e che canta come il gallo la sua opera di soccorso. E’ la critica all’elemosina esibita per giustificare la propria ricchezza. E’, allora, la teologia che teorizza la necessità dei poveri perché si dia l’esistenza dei “cieli” e dell’aldilà della felicità. Gesù, secondo Nietzsche è altro, da ciò che se ne è fatto strumento. Egli non è il “redentore”; ma prima ancora egli non è colui che dice “no” alla vita, come invece lo fa il cristiano dopo che egli è stato travisato storicamente dai suoi seguaci. Per Nietzsche, tuttavia, Gesù si colloca nella storia di Israele, in quella storia di un popolo che usa ogni mezzo, anche appunto quello della negazione, per affermarsi, per auto affermarsi. La storia del popolo di Israele è, secondo Nietzsche, la storia di una grande falsificazione, della manipolazione dei fatti, addirittura del rovesciamento della visione delle cose e del loro valore, al fine dell’affermazione, comunque di questo popolo. E Nietzsche scrive tutto questo con un tono che non ha nulla dell’antisemita. Questa pratica della “volontà di potenza”, passa attraverso i sacerdoti; è il ruolo centrale del sacerdote nella vita di ogni giorno che Nietzsche vuole smascherare, il ruolo fin nelle più piccole cose di ogni giorno. E’ la “invenzione” del peccato che a Nietzsche appare come il colpo di genio del sacerdote: “Riesaminandoli in senso psicologico i peccati divengono indispensabili in ogni società organizzata clericalmente: essi sono le vere leve del potere, il prete vive dei peccati, egli ha bisogno che si “pecchi”..”. Ciò che Nietzsche indica è come la figura del sacerdote, secondo lui, sia una figura direttamente collegata al potere, e dunque, aggiungiamo noi, alla volontà di potenza. Ora, egli porta la sua riflessione sul sacerdote, e dunque, sul teologo- prete, fino alla sua radicale conclusione; Gesù rappresenta il movimento sacerdotale che per “auto affermarsi”, si porta fino alla propria negazione: “Il cristianesimo nega la Chiesa….”.
Gesù è, secondo Nietzsche, l’anti-teologo, l’anti-prete, e in questo senso è un insurrezionista, un rivoluzionario. Gesù attacca l’istituzione ecclesiastica, attacca il “potere”. Ma egli farebbe ciò, secondo Nietzsche, in nome di un’ulteriore autoaffermazione del teologo-prete. Se la Chiesa, per lo meno di Israele, subisce l’attacco di Gesù, ciò è in nome di una “potestà”, di una volontà, più “forte” di essa. Gesù è, per Nietzsche, dunque, un “delinquente politico”, ma paradossalmente politico proprio nel suo essere a-politico. . Allora egli tenta di scrivere una psicologia del redentore, che si offra al di là degli stessi Vangeli, e loro malgrado. Egli tenta e propone una lettura della figura di Gesù che astragga da questo ragionamento strettamente politico, di potenza. Prima tesi di Nietzsche; Gesù è il contrario di un “eroe”. L’ero è un guerriero, Gesù per Nietzsche è invece colui che non oppone resistenza, che è beato nella pace, nella tenerezza, nel non potere essere ostile. Gesù, allora, è un campione di opposizione alla volontà di potenza, di più nella sua incapacità di opporre resistenza, egli ha i tratti tipici della “grandezza”. E questa “grandezza”, Gesù la condivide, come esemplifica nell’eucaristia; essa non è esclusiva di lui, o di pochi altri, essa è possibile per tutti. “Gesù non pretende assolutamente nulla per se solo- come figlio di dio, ognuno è uguale all’altro…”. E per ciascuno è possibile il “mondo” assoluto e interiore che insegna Gesù; quel mondo interiore che è il “regno di Dio”. “Il regno di Dio è in voi”. Nietzsche, a questo punto pone una strana riflessione sul fatto che Gesù avrebbe sofferto di problemi di “tatto”-che ci rinvia al “noli me tangere”-. Toccare e farsi toccare sarebbe stato per Gesù una sofferenza che avrebbero dimostrato la vocazione all “astrazione” da parte sua. Ora; i vangeli avrebbero molti episodi che confuterebbero la tesi di Nietzsche: basti pensare a come Gesù rimproveri i discepoli che vogliono allontanare da lui i bambini. Gesù prende in braccio i bambini, Egli “tocca” i ciechi…. Allora? L’ipotesi che qui emerge è che Nietzsche, in effetti, attribuisca a Gesù, aspetti che forse erano i suoi. Quando egli accosta Gesù ad Epicureo, la dice lunga su come questo Gesù, “questa strana figura”, che presuppone che ” il tipo del redentore non ci sia conservato se non in una forma fortemente travisata”, possa essere, in effetti, la proiezione di un certo Nietzsche, che sentirà l’esigenza di scrivere un “ecce homo” per evitare un travisamento nei suoi confronti! Nietzsche sottolinea un altro aspetto del suo Gesù; secondo lui era un “essere completamente immerso nei simboli”, al quale insiste ad attribuire aspetti di “infantilismo”. Ora, in Gesù, l’infanzia gioca un ruolo importante; basti ricordare quale ruolo gioca nella grandezza.( Matteo XVIII, 1-5, e Marco VIII, 33-37; Luca: IX, 46-48 e XXII24-29,) Il simbolismo di Gesù va collegato ad un aspetto di egli che, forse, la teologia ufficiale fatica ad accogliere: “questo tipo potrebbe essere stato davvero di una poliedricità e di una contraddittorietà particolare”. E’ l’idea che Gesù abbia potuto contraddirsi il punto in cui si gioca, “teologicamente”, una possibile “umanizzazione” di Gesù, che faccia un passo avanti rispetto al quadro delineato qui da Nietzsche. I
l Gesù di Nietzsche non ha indosso i paramenti di un sacerdote, dunque nemmeno il fervore anti-teologico che gli viene attribuito. Gesù è al di là delle dispute teologiche, insomma di “potere”. Nietzsche nega che sia un “fanatico”! Il Gesù di Nietzsche è un Gesù che rimane fanciullo! Per questo, la fede di Gesù è presentata come un “miracolo”, che è in ogni istante la propria ricompensa. E’una fede che “vive”, che si oppone alle formule. Se così è, la fede di Gesù non è una fede che trovi la sua giustificazione nella teologia, in una dottrina, in una parola che “fissi”, che fermi un’esperienza che è vissuta momento per momento, senza commento. “Egli parla solo di ciò che è intimo”, scrive Nietzsche, ancora. Il sapere di Gesù è un sapere che sta fuori dalla “scienza”, è “pura follia”. Per Nietzsche, prima ancora che parlare di “follia della croce”, è la figura di Gesù che sta nella “follia”. Eppure, questa “follia”, non è negatrice, non si oppone al “mondo” Nietzsche attribuisce a Gesù la pozione secondo la quale “il pensiero che una fede, una “verità” possa venire provata con argomenti” è negata; Nietzsche attribuisce, allora, qui, a Gesù la posizione di una”aristocratica”, come l’ha descritto in Al di là del Bene e del male. Nietzsche aggiunge, poi, che il concetto di peccato è assente, “qualsiasi rapporto di distacco tra Dio e uomo, è abolito”. “La beatitudine…è l’unica realtà”. Nietzsche precisa come per il cristiano non si tratti di avere una fede, magari diversa; ciò che diverso il cristiano è il suo agire. E questo agire è quello che potremmo chiamare, ispirandoci a Nietzsche che non usa questa parola, “innocente”, di colui che non nuoce, che non porta danno, che in fondo non porta in sé la morte.
Nietzsche, inoltre attribuisce a Gesù una posizione estranea alla tradizione teologica che va da quella ebraica, rabbinica, a quella patristica in avanti. L'”eternità” di Gesù passa da un’altra parte:”la nozione di “figlio dell’uomo” non né una persona concreta, che faccia parte della storia, qualcosa di singolare, irripetibile, bensì una realtà “eterna”, un simbolo psicologico affrancato dalla nozione di tempo. In altri termini, il “figlio dell’uomo” si da anche qui e ora e si darà domani. Nietzsche arriva a scrivere che per Gesù, “il concetto della morte naturale manca nel Vangelo…L’ora della morte non è un concetto cristiano. ….Il “regno di dio”…… è un’esperienza di un’anima, esiste in tutti e in nessun luogo….”. Nietzsche chiama tutto ciò che scrive di Gesù “zarter Dinge”(§36), cose “tenere”. E’ la tenerezza di Gesù, che è lo “scandalo” di questo testo di Nietzsche, ancora oggi. Più ancora della famosa e ironica ipotesi di un “Cesare Borgia papa”. Questa ultima è il rovescio,– l’espressione, ancora una volta, della fallimentare idea della “volontà di potenza” –,, della “grandezza” di Gesù. Dopo tutto un Borgia sul trono di Pietro ci fu, Alessandro VI. Ora, invece, se Nietzsche fosse vissuto in questo secolo, avrebbe, forse, riconosciuto nel Mahatman Gandhi, una moderna figura di Gesù. Resta, certamente, che l’anticlericalismo che fa da tema di fondo di questo testo, è difficilmente aggirabile. Ci si può certo domandare quale sia la ragione di fondo che spinge il figlio di un pastore a scagliarsi in modo così irruento contro il prete-teologo. . Oltre tutto, va ricordato che Franz Overbeck, un teologo appunto, fu uno dei suoi amici più cari e fidati fino alla fine. Questo testo che si scaglia contro il “risentimento”, come uno dei sentimenti meno cristiani, assente in Gesù, eppure sembri nutrire il tono sopra le righe di questo libro. Gesù, scrive Nietzsche, non fu un fanatico; ora, alcune pagine di questo testo appaino tali. Qui si avverte un autore che fatica a tenere a freno la propria irruenza, la propria violenza, che fatica lui stesso a restare all'”altezza” del Gesù che ha disegnato. A meno che, ancora una volta, Nietzsche non voglia “giocare”, attraverso la maestria stilistica, con il lettore e metterne alla prova la capacità di lettura.
Dopo Nietzsche, dopo il suo testo, accoglierne la lezione significherebbe, forse, non essere più “anti”, se non “pro”, comunque disposti ad ammettere che la “pratica” di Gesù è possibile sia “dentro” che “fuori”, ovunque. Se più che “anticristo”, questo testo si potrebbe intitolare “anti Chiesa”, oggi, tempo in cui essere “anti” è una moda facile, l’anticlericalismo di questo testo rischia di soffocarne la forza “inattuale”; è con l’anti-teologia, ossia con l’attacco alla “filosofia di dio”, che questo testo lascia ancora aperti i conti. E’ possibile, oggi, una teo-logia, dopo Nietzsche? Egli forse lascia intendere che di Dio non si deve più parlare, egli cerca di sottrarre Gesù alla parola di Dio? E’ possibile seguire Nietzsche quando proclama che “Dio è morto”, ma che il “tipo” Gesù è eterno? Se così è, allora quale specie di “teo-logia” è ancora possibile? Una “a-teo-logia”; ossia una parola, un pensiero in cui dio si dona e si abbandona totalmente “a” il “tipo” Gesù? Dove “qualsivoglia rapporto di distacco tra Dio e uomo, è abolito”[ jedwedes Distanz-Verhältniss zwischen Gott und Mensch ist abgeschafft,](§33)? Tenuto conto del ruolo che gioca il termine “distanza” in Nietzsche (basta ricordare il “pathos della distanza”)- ancora una volta il tema del “tatto”- sarebbe forse possibile tentare un passo in direzione di questa “a-teo-logia”.Concludiamo davanti a questo possibile cammino del pensiero, che ci pro-voca, ancora una volta, sul passo di Nietzsche, a non dare per conclusi i giochi; l’anticristo ci sta davanti: “Erst das Übermorgen gehört mir” ” Per prima cosa, il post-domani mi appartiene”, scrive ammonitore Nietzsche. Siamo noi in questo dopo domani?